Il Mercato della Piazza delle Erbe nell’800

Testimonianze di Giovanni Sainati e Fortunato Signorini, due nonuagenari che ebbero il loro commercio nella piazza.
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Cattura

(1939) Mentre si pensa a demolire il centro per ricostruire con altri criteri la parte più vitale della nostra città, si appuntano gli sguardi su quella Piazza delle Erbe e si domanda: ”Quale sarà nella nuova ricostruzione la sorte di quell’umile stabile dove aprì gli occhi alla luce Pietro Mascagni?”
Sgombriamo subito il terreno da giuste apprensioni. La casa di Mascagni non sarà demolita, rimarrà, anche se dovesse essere incorporata in qualche altra costruzione.
E vediamo ora quale era l’aspetto della Piazza delle Erbe nell’800, il vecchio mercato che per tre secoli circa fu mercato cittadino.
Nello stesso immobile dove nacque Mascagni era il forno l’“Italia” di cui erano dirigenti, o come si diceva allora, ministri i fratelli Domenico e Stefano Mascagni: padre e zio del grande musicista. Il forno l’“Italia” era un panificio della rinomata azienda Tellini che commerciava in cereali e aveva un mulino proprio.
Più tardi il sor Domenico impiantò del proprio un esercizio nella via S. Francesco e questo panificio avrebbe dovuto conservare il nome che aveva.
Il Signorini racconta che nelle sere d’inverno, ragazzo con i ragazzi del quartiere, andava a riscaldarsi nella caldana del biscottificio Tellini, essendo la mamma sua buon amica della madre del Mascagni, ricordata con grande venerazione come un angelo di carità.

Al vecchio mercato livornese a quel tempo, oltre la crociera in muratura costituente l’area coperta, erano le “casine”, costruzioni edilizie dove era situata la macelleria Giannardi, con ingresso principale in via S. Giulia e la macelleria Zigoli all’angolo opposto, verso via della Coroncina. Nel rinomato spazio del quadrilatero, dietro la macelleria Giannardi, c’era il mercato scoperto dei pescivendoli, in faccia alla via del Traforo. Appartenevano a questa categoria i patriotti e garibaldini valorosissimi Arbulla, Franchi, Masi, Lavagi, Dazzi, Coscera, Vicchi, Luperini, Barabino ed altri.
Nell’angolo delle mura del reparto stesso era piazzata la pompa per attingere acqua dalla cisterna, non pozzo, di cui è ancora visibile il chiusino al centro della piazza.
Sulla via S. Giulia, fra la macelleria Giannardi e l’ingresso del mercato chiuso, vi erano banchi per la vendita di polli, agnelli, uova, cacciagione. A tergo della macelleria Zigoli, ma di fronte alla via del Giglio, posteggiavano le erbaiuole ed i venditori di frutta, sotto le tende e ombrelloni ed a ridosso del muro angolare stavano altri banchi per polli, agnelli, uova e caccia dei negozianti Angiolo e Domenico Ricci.
Nell’attiguo secondo braccio di croce trasversale, coperto – lato prosecuzione del “Giglio” e del “Cardinale” – a cui si accedeva da un’arcata, vi era subito a destra, entrando, l’accesso alla scala di un fabbricato a due piani ammezzati, sede della Direzione. Accanto al detto vano delle scale si trovava un’officina di riparazioni di stadere e quindi un banco per pollame e affini; mentre di fronte erano disposte altre bancate per gli stessi articoli, ed agnelli, e burro e formaggi freschi.
Il terzo piazzaletto scoperto, quello di fronte alla via degli Asini – poi Bartelloni – in parte, sulla strada, era occupato da un altro immobile in muratura, a padiglione con breve loggiato anteriore, ove stanziavano banchi di vitellai e norcini. Detto padiglione era diviso in tre ambienti: uno bottega di frutta di certo Izzi; un macello che ebbe diversi affittuari ed il popolare Caffè dei Mille, fondato dal Maggini; esercizi che avevano ingressi di servizio anche sul dietro.
Nel rimanente di questo terzo spazio scoperto, vi erano altri banchi per erbaggi, frutta ed erbe aromatiche, cipolle ed agli ed affini; ed a ridosso del muro del seguente terzo braccio di croce chiuso, verso la strada – tratto dal “Cardinale” a “S. Omobono” – vi erano un banco di pollame ed agnelli, ecc., ed un padiglione di ferro e legname di proprietà del detto Fortunato Signorini, ad uso di macelleria.
Dal Caffè dei Mille alla via S. Omobono, meno che per l’ingresso al mercato coperto, la piazza era contornata da pioli di marmo bianco, ad impedire l’accesso ai veicoli: spasso della gioventù per il gioco del salta e risalta.
Da questo terzo braccio del mercato coperto, a mezzo di una porta a sinistra, si accedeva al quarto ed ultimo quadrilatero scoperto, destinato al mercato all’ingrosso della frutta e sede di posteggio delle gabbrigiane. Accanto a detta porta di comunicazione vi era uno staderone a piatto per il peso pubblico; oltre ad un banco per la vendita di polli, uova e caccia.
Nel quarto ed ultimo braccio cruciale a tettoia – lato ingresso sulla continuazione “S. Omobono, “Traforo” – a destra entrando vi erano banchi di polli, una macelleria ed il banco di pollame, agnelli e caccia del Gonnelli Lorenzo. Di fronte vi erano altri banchi degli stessi generi, la porta di comunicazione col reparto dei pescivendoli ed un padiglioncino mobile per l’ufficio della “Grascia”; a seconda dei casi, spostato in altre parti del mercato.
Il centro del crocevia chiuso, tranne una bancarella per la vendita di pollastri ed affini, era del tutto sgombro.

Alla “corda”, o trave tirante della capriata, sulla comunicazione col 4° braccio e con prospetto sul centro e dall’arcata sottostante alla Direzione, sopra una mensola con gradinata chiusa a guisa di altarino, era esposta un’immagine della SS Vergine col S. Bambino che non mancava di devoti omaggi di candele e di fiori, con permanente lampada a olio. A una quindicina di metri sulla stessa linea, al muro del 3° braccio coperto, sopra il peso pubblico, vi era un altro altare con la Madonna di Montenero; quella tanto ricordata da un devoto truccone che più degli altri ne curava l’addobbo e la manutenzione dei lumi e dei fiori; ma che, come tutti sanno, nella foga di decantare la bellezza di quell’immagine, usava espressioni che erano involontarie eresie.
Le luminare e i fuochi del mercato vecchio per la vigilia del dì otto di settembre, natività della SS Vergine, sono ricordati come decoro e ingegnosità. Ne curava anche a proprie spese, con devota larghezza di mezzi, il fruttivendolo soprannominato “Boccalino”.

In merito al commercio degli articoli per il Presepio che ogni anno per l’occasione si svolge, ora, sulla piazza del vecchio mercato, occorre dire che Pietro Mascagni, bambinello, ammirò estatico ed ebbe la prima Capannuccia acquistata sulla piazzetta laterale del Duomo, lato del Battistero, ove ora è il giardinetto; per cui le bancarelle coi pastori ed i sacri personaggi, da tempo dovettero trasmigrare nel nuovo posteggio. Allora, oltre alle capannucce, si vendevano i “ceppi”: piccole piramidi a base triangolare, di canne con ornamenti di pine dorate e festoni di fichi secchi e bandierine di carta multicolore.

Ultimi dirigenti del Mercato delle Erbe furono un Cartei e Cavallini.
Nel Mercato e nei dintorni tennero i loro esercizi: Meucci, Bianchini, Bosi, Baroni, Fucini, Piram, Menocci, Pasquinelli, Foresi, Rimediotti, Chiocchi, Tocchini, Bartorelli, Donnini, Pieri, Riccomi, Mantovani, Fattori, Bastianelli, Cioni, Bartolicci, Casareni e tanti altri.
Questi sono i ricordati che il Sainati, il quale aveva il macello in via S. Giulia e il Signorini che ebbe un pastificio in via S. Omobono, hanno rievocato a proposito dell’antica piazza delle Erbe, illustrata alla presenza dello stabile in cui nacque Mascagni.

S. S. (1939)

Maria di Cosimo I° e la Pieve di Sant’Antonio

Agnolo_Bronzino_-_Maria_(di_Cosimo_I)_de'_MediciMaria, figlia primogenita del Granduca di Toscana Cosimo I de’ Medici e Eleonora di Toledo, muore a Livorno in giovane eta (nata a Firenze il 3 aprile 1540). Alcune fonti affermano la sua sepoltura nel castello di Livorno, dove dicono che morì il 19 luglio 1595. (SALTINI G., Tragedie medicee domestiche, Firenze, 1898 pp -1-61).
La Maria Medici venne sepolta a Livorno, nell’Oratorio del Castello, che dopo molti anni prese il nome di Chiesa di Sant’Antonio. Sopra una parete della Chiesa si trovava una lapide che ricordava la Maria e ne segnava la sepoltura (Carte Pieraccini, 6.1: minuta di lettera indirizzata a Gaetano Pieraccini al canonico Balzini del Duomo di Livorno, in cui si chiedono dettagli di questa sepoltura. (8 aprile 1946) in AA..VV Gaetano Pieraccini, L’uomo, il medico il politico. Invece ASFI, Ufficiali, poi Magistratura della Grascia 191c530 (…) Da un arrecante ricerca (ASLI Fondo Sanità 117, Sepolture di cadaveri umani comuni e gentilizie, 1767-1773), la presenza di maria non è documentabile. La stessa chiesa di Sant’Antonio ha subito numerose radicali trasformazioni che non consentono di confermare quanto sostenuto dal Pieraccini.

Illacrimate sepolture: curiosità e ricerca scientifica nella storia delle …