Palloni sgonfiati da un’ordinanza del Governatore

I primi esperimenti degli aerostati livornesi

Palloni sgonfiati a Livorno
L’aerostato Genova del capitano Brunner che si alzò dal parco Eden il 28 agosto 1904. (coll. A. Catarzi – Livorno)

Pochi mesi dopo che Montgolfier aveva lanciato, il 5 giugno 1783, la sua macchina aerea alla presenza degli abitanti di Annonay meravigliati, si volle anche da noi studiare questa portentosa scoperta e si iniziarono varii esperimenti servendosi di relazioni pervenute dalla vicina Pisa e da Firenze, ove già erano stati fatti tentativi pienamente riusciti.

Il 14 gennaio 1784 veniva innalzato a Pisa dal dott. Fontana un pallone volante di seta bianca verniciata; a Firenze, quattro giorni dopo, a mezzogiorno, Francesco Henrion pistoiese, architetto e pittore, impiegato all’Archivio delle Decime granducali, riuscì egli pure a far sollevare un pallone: un globo aerostatico di carta, di non indifferente grandezza e di bella figura. L’Henrion si offrì inoltre di costruirne uno di drappo ingommato capace di sollevare delle persone.
 Il 22 dello stesso mese il padre lettore D. Bernardo De’ Rossi, unitamente al P. lettore D’agostino da Rabarta, monaci benedettini cassinesi, lanciarono anch’essi un globo aerostatico composto di una sottilissima membrana conosciuta sotto il nome di “pelle da battiloro” riempita d’ossigeno che andò benissimo in aria. Simile esperimento egli ripetè il 23 nel giardino di Boboli.

Qui a Livorno, invece, il primo esperimento pubblico non andò bene. Un cronista dell’epoca così ne parla: “1784 – Martedì 2 marzo – Giuseppe Batacchi chirurgo ha voluto fare la prova del pallone volante a mezzogiorno. E’ stato fatto partire dal tetto dei Tre Palazzi, ma dopo essersi alzato due braccia, è ricaduto sul tetto medesimo: in Piazza era intervenuta una grandissima quantità di popolo, alle finestre, dai tetti e terrazzi per vedere questa prova che in ogni dove ha avuto esito felice e hanno alzato molto; ma qui il nostro dilettante ha avuto la disgrazia di non riuscirvi e dal popolaccio ha avuto delle beffe con far volare i cappelli.
 Quattro giorni dopo, il sabato venne fatta una seconda prova da Niccola Pagani, che fu il costruttore della macchina, sotto la direzione dell’abate Demonteil, cancelliere del Consolato di Francia e dell’abate Giuseppe Torelli, professore di filosofia nel convitto ecclesiastico di San Leopoldo.
 Il pallone era del diametro di nove braccia e di figura quasi conica, venne fatto partire dalla chiostra del Refugio, si alzò felicemente per l’altezza di due miglia e dopo un quarto d’ora scese cadendo nei pressi di Tombolo.
 Ma Giuseppe Batacchi, ostinato a voler fare andare a tutti i costi il suo pallone, convenne il popolo il martedì 9 sulle mura di San Cosimo; il concorso fu infinito: ma per quanto facesse, l’aerostato non volle partire onde dal popolaccio indiscreto ne ha riportato una solenne fischiata. 
Ma il Batacchi, duro! Il giorno dopo fece un altro tentativo; ma il pallone, annoiato, sembra, da tanto insistere, prese fuoco addirittura, e felicissima notte!”
Il sabato 13 dai medesimi dilettanti di otto giorni prima, ne venne innalzato uno dalla Piazza Grande del dimetro di 80 braccia, che portava un uomo di foglio, più grande della statua di Ferdinando I e dopo circa una ventina di minuti andò a cadere presso i Lupi.
Il concorso di popolo fu straordinario. “Serva il dire – scrive il cronista – che tutte le botteghe di Livorno sono state in quel tempo serrate, i tetti, le finestre e la piazza erano ripiene, senza contare i luoghi della città e della campagna, perché da pertutto si accorreva”. E concludeva: “Questo sì che è stato uno spettacolo assai gradito dal popolo e merita ogni lode.” La frenesia per queste esperienze era entrata davvero nel buon popolo nostro: “E già l’audace esempio
 i più ritrosi acquista;
  già cento globi ascendono del cielo alla conquista.”
La domenica 14 Francesco Casini, dal terrazzo del Console d’Inghilterra, ne lanciava tre di quaranta braccia; il 23 martedì, dalla Piazza se ne mandava dai soliti dilettanti, in presenza di una immensa folla, uno grandissimo di 120 braccia di circonferenza, fatto di fogli a scacchi bianchi e rossi, con appeso un uomo di paglia avente in braccio una pecora viva; ma appena innalzato, si stracciò e cadde con grande delusione degli spettatori.

Altri palloni furono lanciati: uno il 24 dalla piazzetta del Luogo Pio e un altro il 25 dalla “Casina delle Ostriche”.
 Fino a che il Governatore, per ovviare a possibili danni, emise la seguente ordinanza in data 17 aprile 1784:
“L’ Ill.mo e chiarissimo sig. Senatore Conte Bali Federico Barbolani dei Conti da Montauto, Governatore di Livorno, fa pubblicamente notificare come resta proibito a chiunque fare innalzare in questa città e giurisdizione palloni aerostatici, ossia volanti, i quali facendosi per lo più da persone imperite, altro non sono che un giuoco da fanciulli, molto pericoloso a cagione del fuoco che portano seco in aria, capace di produrre dei funesti inconvenienti, sotto pena ai trasgressori di scudi 10 per ciascuno e per ciascuna volta da applicarsi per un terzo all’Accusatore e per gli altri due terzi a due spedali di questa città, al pagamento della qual pena saranno tenuti i padri per i loro figli.
Riservandosi S. S. I.ma e Clarissima d’accordare la licenza quando da persone intelligenti voglia farsi in tempo e luogo opportuno qualche esperienza che possa contribuire ad estendere le cognizioni sopra tale scoperta e sopra gli usi della medesima. F.to Filippo Cioni, Cancelliere”.

09/17/2016  – M.M. Livorno ©

Il Mercato della Piazza delle Erbe nell’800

Testimonianze di Giovanni Sainati e Fortunato Signorini, due nonuagenari che ebbero il loro commercio nella piazza.
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Cattura

(1939) Mentre si pensa a demolire il centro per ricostruire con altri criteri la parte più vitale della nostra città, si appuntano gli sguardi su quella Piazza delle Erbe e si domanda: ”Quale sarà nella nuova ricostruzione la sorte di quell’umile stabile dove aprì gli occhi alla luce Pietro Mascagni?”
Sgombriamo subito il terreno da giuste apprensioni. La casa di Mascagni non sarà demolita, rimarrà, anche se dovesse essere incorporata in qualche altra costruzione.
E vediamo ora quale era l’aspetto della Piazza delle Erbe nell’800, il vecchio mercato che per tre secoli circa fu mercato cittadino.
Nello stesso immobile dove nacque Mascagni era il forno l’“Italia” di cui erano dirigenti, o come si diceva allora, ministri i fratelli Domenico e Stefano Mascagni: padre e zio del grande musicista. Il forno l’“Italia” era un panificio della rinomata azienda Tellini che commerciava in cereali e aveva un mulino proprio.
Più tardi il sor Domenico impiantò del proprio un esercizio nella via S. Francesco e questo panificio avrebbe dovuto conservare il nome che aveva.
Il Signorini racconta che nelle sere d’inverno, ragazzo con i ragazzi del quartiere, andava a riscaldarsi nella caldana del biscottificio Tellini, essendo la mamma sua buon amica della madre del Mascagni, ricordata con grande venerazione come un angelo di carità.

Al vecchio mercato livornese a quel tempo, oltre la crociera in muratura costituente l’area coperta, erano le “casine”, costruzioni edilizie dove era situata la macelleria Giannardi, con ingresso principale in via S. Giulia e la macelleria Zigoli all’angolo opposto, verso via della Coroncina. Nel rinomato spazio del quadrilatero, dietro la macelleria Giannardi, c’era il mercato scoperto dei pescivendoli, in faccia alla via del Traforo. Appartenevano a questa categoria i patriotti e garibaldini valorosissimi Arbulla, Franchi, Masi, Lavagi, Dazzi, Coscera, Vicchi, Luperini, Barabino ed altri.
Nell’angolo delle mura del reparto stesso era piazzata la pompa per attingere acqua dalla cisterna, non pozzo, di cui è ancora visibile il chiusino al centro della piazza.
Sulla via S. Giulia, fra la macelleria Giannardi e l’ingresso del mercato chiuso, vi erano banchi per la vendita di polli, agnelli, uova, cacciagione. A tergo della macelleria Zigoli, ma di fronte alla via del Giglio, posteggiavano le erbaiuole ed i venditori di frutta, sotto le tende e ombrelloni ed a ridosso del muro angolare stavano altri banchi per polli, agnelli, uova e caccia dei negozianti Angiolo e Domenico Ricci.
Nell’attiguo secondo braccio di croce trasversale, coperto – lato prosecuzione del “Giglio” e del “Cardinale” – a cui si accedeva da un’arcata, vi era subito a destra, entrando, l’accesso alla scala di un fabbricato a due piani ammezzati, sede della Direzione. Accanto al detto vano delle scale si trovava un’officina di riparazioni di stadere e quindi un banco per pollame e affini; mentre di fronte erano disposte altre bancate per gli stessi articoli, ed agnelli, e burro e formaggi freschi.
Il terzo piazzaletto scoperto, quello di fronte alla via degli Asini – poi Bartelloni – in parte, sulla strada, era occupato da un altro immobile in muratura, a padiglione con breve loggiato anteriore, ove stanziavano banchi di vitellai e norcini. Detto padiglione era diviso in tre ambienti: uno bottega di frutta di certo Izzi; un macello che ebbe diversi affittuari ed il popolare Caffè dei Mille, fondato dal Maggini; esercizi che avevano ingressi di servizio anche sul dietro.
Nel rimanente di questo terzo spazio scoperto, vi erano altri banchi per erbaggi, frutta ed erbe aromatiche, cipolle ed agli ed affini; ed a ridosso del muro del seguente terzo braccio di croce chiuso, verso la strada – tratto dal “Cardinale” a “S. Omobono” – vi erano un banco di pollame ed agnelli, ecc., ed un padiglione di ferro e legname di proprietà del detto Fortunato Signorini, ad uso di macelleria.
Dal Caffè dei Mille alla via S. Omobono, meno che per l’ingresso al mercato coperto, la piazza era contornata da pioli di marmo bianco, ad impedire l’accesso ai veicoli: spasso della gioventù per il gioco del salta e risalta.
Da questo terzo braccio del mercato coperto, a mezzo di una porta a sinistra, si accedeva al quarto ed ultimo quadrilatero scoperto, destinato al mercato all’ingrosso della frutta e sede di posteggio delle gabbrigiane. Accanto a detta porta di comunicazione vi era uno staderone a piatto per il peso pubblico; oltre ad un banco per la vendita di polli, uova e caccia.
Nel quarto ed ultimo braccio cruciale a tettoia – lato ingresso sulla continuazione “S. Omobono, “Traforo” – a destra entrando vi erano banchi di polli, una macelleria ed il banco di pollame, agnelli e caccia del Gonnelli Lorenzo. Di fronte vi erano altri banchi degli stessi generi, la porta di comunicazione col reparto dei pescivendoli ed un padiglioncino mobile per l’ufficio della “Grascia”; a seconda dei casi, spostato in altre parti del mercato.
Il centro del crocevia chiuso, tranne una bancarella per la vendita di pollastri ed affini, era del tutto sgombro.

Alla “corda”, o trave tirante della capriata, sulla comunicazione col 4° braccio e con prospetto sul centro e dall’arcata sottostante alla Direzione, sopra una mensola con gradinata chiusa a guisa di altarino, era esposta un’immagine della SS Vergine col S. Bambino che non mancava di devoti omaggi di candele e di fiori, con permanente lampada a olio. A una quindicina di metri sulla stessa linea, al muro del 3° braccio coperto, sopra il peso pubblico, vi era un altro altare con la Madonna di Montenero; quella tanto ricordata da un devoto truccone che più degli altri ne curava l’addobbo e la manutenzione dei lumi e dei fiori; ma che, come tutti sanno, nella foga di decantare la bellezza di quell’immagine, usava espressioni che erano involontarie eresie.
Le luminare e i fuochi del mercato vecchio per la vigilia del dì otto di settembre, natività della SS Vergine, sono ricordati come decoro e ingegnosità. Ne curava anche a proprie spese, con devota larghezza di mezzi, il fruttivendolo soprannominato “Boccalino”.

In merito al commercio degli articoli per il Presepio che ogni anno per l’occasione si svolge, ora, sulla piazza del vecchio mercato, occorre dire che Pietro Mascagni, bambinello, ammirò estatico ed ebbe la prima Capannuccia acquistata sulla piazzetta laterale del Duomo, lato del Battistero, ove ora è il giardinetto; per cui le bancarelle coi pastori ed i sacri personaggi, da tempo dovettero trasmigrare nel nuovo posteggio. Allora, oltre alle capannucce, si vendevano i “ceppi”: piccole piramidi a base triangolare, di canne con ornamenti di pine dorate e festoni di fichi secchi e bandierine di carta multicolore.

Ultimi dirigenti del Mercato delle Erbe furono un Cartei e Cavallini.
Nel Mercato e nei dintorni tennero i loro esercizi: Meucci, Bianchini, Bosi, Baroni, Fucini, Piram, Menocci, Pasquinelli, Foresi, Rimediotti, Chiocchi, Tocchini, Bartorelli, Donnini, Pieri, Riccomi, Mantovani, Fattori, Bastianelli, Cioni, Bartolicci, Casareni e tanti altri.
Questi sono i ricordati che il Sainati, il quale aveva il macello in via S. Giulia e il Signorini che ebbe un pastificio in via S. Omobono, hanno rievocato a proposito dell’antica piazza delle Erbe, illustrata alla presenza dello stabile in cui nacque Mascagni.

S. S. (1939)