Venezia – Scali delle Barchette

Il tratto di fosso su cui si affacciano gli Scali delle Barchette, nella foto lo vediamo appena passato il ponte di Santa Trinita, corrisponde all’incirca all’antico tracciato del canale scavato dai genovesi negli anni in cui furono padroni di Livorno. A ridosso dei confini a nord del perimetro delle mura pisane, il canale conduceva al Porticciolo, antica darsena, c’è chi dice quanto almeno il Pamiglione, trasformata in scalo forse meglio attrezzato o “ripristinato”dai genovesi appunto, seppur già esistente.

Romoli Ferrucci del tadda Expertise Ita Bacarelli

ROMOLO FERRUCCI DEL TADDA (Firenze, 1544 – 1621)

Il Villano per Livorno

Nel 1601 la Guardaroba del Granduca di Toscana dette in prestito due figurine in argento allo scultore e orefice Antonio Susini (1558-1624), probabilmente per eseguire delle copie in bronzo.  Stando al relativo documento una delle statuette rappresentava un “Villano con cappello con bastoncino che s´appoggia in su il bastone”; l’altra è semplicemente chiamata “Pastorino” (1). Tutte e due le figurine di argento sono perdute ma il “Villano con cappello con bastoncino che s´appoggia in su il bastone” esiste in più versioni in bronzo, le migliori delle quali sono state ragionevolmente attribuite al Susini (2). Una versione del Villano (figure 2,4,6 e 8) nel Museo Nazionale del Palazzo di Venezia a Roma ha forti affinità con lo Zampognaro seduto (figura 9) in bronzo sempre nello stesso museo (3). Entrambi i due bronzetti condividono la stessa provenienza ed è perciò molto probabile che i due modelli siano stati in origine concepiti come pendants e che il Pastorino consegnato a Susini insieme al Villano di argento rappresentava uno Zampognaro seduto. Inoltre, una figura di bronzo “che sona la piva” è documentato come lavoro del Susini in un inventario mediceo del 1623 (4). Potrebbe essere la versione dorata preservata oggi al Museo Nazionale del Bargello a Firenze (5). Il Susini non era un artista creativo (6). Agli inizi del diciassettesimo secolo era ancora impiegato nella bottega del Giambologna, il grande scultore fiammingo alla corte dei Medici.  Dal 1598 in poi il Susini comincia a produrre piccoli bronzi basati sui modelli del Giambologna. È perciò abbastanza probabile che le due figurine in argento date al Susini erano state disegnate dal suo maestro. Un´altra statuetta “di genere” in argento è documentata nelle collezioni medicee come opera del Giambologna.  Essa rappresentava una Donna con oca. Fusa nel 1574, il suo modello è conosciuto da una sola versione in bronzo (7).  Intorno a questo periodo si possono datare anche le due statuette perdute in argento del Villano e del Pastorino. Una tale datazione è confutata dalle seguenti considerazioni: nell´ottava decade del sedicesimo secolo il Giambologna stava lavorando alle sculture per il giardino della Villa di Pratolino, la residenza prediletta del Granduca Francesco, e Filippo Baldinucci ci dice che per quel giardino lo scultore fiammingo fece “in pietra alcune statue di villani” (8).  E´ perciò non difficile immaginare che i modelli per il Pastorino e lo Zampognaro seduto siano da porre in relazione con queste sculture. Forse sono stati fusi direttamente dai modelli di contadini inventati dal Giambologna e ricordati dal Baldinucci (9). Nessuna di queste statue in pietra di contadini è sopravvissuta ed è impossibile sapere con certezza se Giambologna effettivamente ne scolpì. Baldinucci è l´unica fonte che le menziona ma lui si sbagliava spesso. Comunque, una statua rappresentante un Zampognaro seduto è documentata attraverso uno dei disegni che Giovanni Guerra ha fatto del giardino di Pratolino (10). E´ una versione molto simile al piccolo bronzo di Roma ed è perciò probabile che possa essere del Giambologna.  Che il Giambologna abbia ideato almeno uno di questi modelli “di genere” è comunque fuori dubbio. Infatti il suo grande amico Benedetto Gondi possedeva una statuetta in bronzo rappresentante un “Pastorino” che nell´inventario del 1609 della sua importante collezione d´arte viene descritto come “di mano e l´originali del Cavaliere Gian Bologna” (11). Inoltre quando l´erede al trono di Inghilterra chiese alla corte medicea dei bronzetti tratti dai modelli del Giambologna, all´inizio del diciassettesimo secolo, un Pastorino con bastone e uno Zampognaro seduto furono mandati insieme ad altre statuette da modelli del Giambologna in Inghilterra (12). Nel documento doganale datato 1611 uno segue l´altro e questo conferma che queste due composizioni erano state in origine pensate come dei pendants (13). I bronzetti del Giambologna furono già usati come doni diplomatici dai Medici per le corti europee alla metà degli anni ottanta del Cinquecento (14). Quando Susini comincia a riprodurre i modelli del suo maestro in scala più vasta i bronzi tratti da modelli del Giambologna diventarono molto popolari e trovarono la loro strada anche in collezioni non aristocratiche. Come già riconosciuto da Hans Robert Weihrauch nel 1967, la diffusa popolarità che questi bronzetti ricevettero all´inizio del diciassettesimo secolo ebbe un’altra importante consequenza per la scultura europea. Bronzi tratti da modelli del Giambologna sono allora diventati  modelli popolari per la statuaria da giardino specialmente al nord delle Alpi (15). Una composizione come quella dello Zampognaro seduto, inventata per decorare un giardino fiorentino, servì, per esempio, come modello per una statua che si trovava in una “grotta” nel cortile della casa di Rubens ad Anversa (16). D´altra parte nessun modello del Giambologna fu usato per statuaria da giardino in Toscana (17). Cercheremmo invano per modelli dal Giambologna tra le statue o gruppi “di genere” scolpiti per il giardino di Boboli durante il breve regno di Cosimo II (1609-1621) che fu responsabile per un revival di questo tipo di scultura (18). Per quanto som un modello del Giambologna fu certamente usato in Toscana solo una volta in scala maggiore (19) ma questo successe in un differente contesto, pubblico e commemorativo.  Questa copia era una libera interpretazione dal “Villano” (figure 1, 3, 5, 7, 10, 11, 19, 21, 24, 26). Fu scolpita per una fontana di Livorno, il grande porto del Granducato di Toscana, da Romolo Ferrucci detto Del Tadda (1544-1621) membro della famosa famiglia di scultori di Fiesole, e figlio del famoso Francesco del Tadda, il primo a riscoprire i segreti per intagliare il porfido persi dopo l´antichità (20). La storia del “Villano” di Livorno è di grande interesse sia per come viene recepito il Giambologna in Italia, sia per gli studi sulla scultura Toscana del primo Seicento: Anthea Brook ne ha già parlato (21). Ma sia recenti studi sul Giambologna, sia gli studiosi di Romolo Ferrucci non hanno saputo notare la dipendenza di questa statua da un modello inventato dal Giambologna. Il “Villano” del Ferrucci è documentato visivamente già nel tardo Settecento. Nel 1937 Cesare Venturi pubblica un articolo monografico dove fa un sunto della storia della statua e della fontana su cui stava. Egli riproduce inoltre un disegno e un dipinto che confermano, al di là di ogni dubbio, che era basata su un modello del Giambologna (22):  1. il disegno (figura 12) è opera di Lorenzo Tommasi, un ingegnere della fine del Settecento, e raffigura un pastore in piedi in una posa molto simile al bronzo del Giambologna (23). Alla sua destra si staglia un cane che non sembra in relazione con la statua.  2. il dipinto (figura 13) è stato attribuito a Giuseppe Maria Terreni  (1739-1811) ed è conservato nel Museo Civico Giovanni Fattori a Livorno. Riproduce un Villano con cane su una base rettangolare. Nel dipinto l´animale è rappresentato più vicino al Villano rispetto al disegno, è rappresentato a tre quarti e guarda verso la sua destra(24).  Nulla si conosce della storia di questa tela. Al contrario, del disegno sappiamo che fu commissionato da Mariano Santelli per illustrare la sua ben conosciuta storia di Livorno, Stato antico e moderno ovvero origine di Livorno uscito in tre volumi a Livorno tra il 1769 e il 1762 (25).   Il disegno è posto però tra le pagine 197 e 198 del quarto tomo della Storia del Santelli, rimasto manoscritto (26).   Nè il disegno, né il dipinto erano ovviamente ideati come rappresentazioni accurate del gruppo scultoreo. Il disegno è molto sommario. E nel dipinto ambe le figure sono colorate in evidente contraddizione con l´aspetto originale delle due statue.  Al tempo in cui il disegno e il dipinto furono eseguiti, la statua del Villano non era più al suo posto sulla fontana. Di fatti sappiamo che nel 1737 Giovan Filippo Tanzi, uno scultore di Carrara, propose di scolpire una statua per rimpiazzare l´originale (27).  Come specifica il Santelli, soltanto la statua del cane rimaneva sulla fontana quando lui scriveva la sua Storia. Il Santelli aveva commissionato il disegno dal Tommasi per cercare di documentare come appariva in origine il gruppo scultoreo del Ferrucci, soprattutto a beneficio dei “dilettanti del disegno, della scultura, come ancora dell´Antichità” (figura 15) (28).  Il Santelli inoltre ci dice che riuscì (“mi è riuscito”) ad ottenere questo disegno (29). Questo fa suppore che egli conosceva l´ubicazione del Villano e che non fosse semplice averne il disegno. E´ però ugualmente possibile che lui si sia rifatto ad un modello visivo precedente, ma a noi oggi perso.  Il Santelli aggiunge che il disegno avrebbe confutato alcune informazioni sbagliate precedentemente pubblicate (30). Si riferisce innanzitutto a coloro che avevano erroneamente identificato una testa di marmo inserita in un muro di Via S. Giovanni a Livorno come frammento della “statua del Villano” (31).  In seguito, il Santelli usa il disegno come prova contro la tesi che il Villano sarebbe stato in origine tra due figure di cani. Il disegno provavava che questa affermazione era falsa: il gruppo era composto dalla statua del Villano e di quella di un solo cane.   Questa informazione sbagliata era stata affermata da Giovanni Targioni Tozzetti nel 1768 (32), il quale si basava su un manoscritto che si trovava allora nella biblioteca Magliabecchiana, ma che oggi è custodito nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (33).  È in questo manoscritto che si trova anche l´informazione sulla paternità delle sculture. Questo manoscritto era proprietà di Anton Francesco Marmi (1665-1736) (34). È composto da informazioni su vari artisti e opere d´arte e include una sezione intitolata “Notizie di Livorno”. Secondo queste inedite “Notizie” che non è possibile datare con precisione:  “V´è la Fontana antica detta del Villano per esservi una statua di Macigno ammezzo a due cani, opera buona di Romolo del Tadda” (35).  Secondo il compilatore di queste “Notizie” il Villano del Ferrucci era di macigno, un tipo di pietra arenaria dura, dalle tonalità grigio bluastre. Comunque il Santelli è critico anche su questo punto. Egli scrive infatti che un bastione della fortezza di Livorno era denominato “del Villano”:   “da una statua di macigno, o di marmo che fosse, rappresentante un Contadino all´uso di quèi tempi quale appoggiasi ad un legno fissato nel terreno con un sacco fra le mani ed un barilozzo pendente, ed un cane sedente alla sinistra di se medesimo tutto diverso da ciò che ne scrisse un manoscritto della Magliabecchiana Pubblica Biblioteca” (figura 16) (36).  Nonostante quasi tutte le statue del Ferrucci fossero di pietra arenaria, egli era capace di scolpire qualsiasi tipo di marmo, avendo imparato l´arte dal padre Francesco che era capace di intagliare la più dura delle pietre, il porfido (37).  Ma il Santelli aveva un´altra ragione per dubitare delle informazioni dateci dal manoscritto delle “Notizie di Livorno” e concernenti il materiale del gruppo statuario di Livorno. Infatti, quando lui scriveva la sua Storia nel tardo Settecento, il cane era ancora esistente e lui poteva ancora vedere con i suoi propri occhi che era di marmo (38).  Inoltre, anche il Venturi indica che il gruppo fosse fatto in marmo, perché ricordava di aver visto nella sua gioventù che la sua base rettangolare era di marmo (39). Era invece il piedistallo (la fontana vera e propria) a essere fatta di pietra e questo può aver suggerito erroneamente all´autore delle sopra menzionate “Notizie di Livorno” che anche le sculture erano “di macigno”.   Le due sculture del Ferrucci per Livorno, erano come vedremo in seguito più in particolare, un gruppo di commemorazione pubblica. Sarebbe stato per ciò difficile immaginare che potessero essere di un materiale diverso dal marmo di Carrara, di cui in effetti il Villano consiste.  Sfortunatamente l´autore delle “Notizie di Livorno” non ci rivela la data in cui fu commissionato il gruppo del Ferrucci. È stato suggerito che la commissione risale al 1605 (40). Tuttavia, questo non è possibile: il Santelli semplicemente parla di questo gruppo nel contesto degli avvenimenti del 1605 (41).  Dall’altro canto, il Santelli offre un “terminus ante quem” per la sua esecuzione: la data in cui la statua fu posta sul piedistallo che funzionava anche come fontana. Secondo un passaggio successivo nel manoscritto del Santelli questo occorse nel 1628:   “si leva la fonte del Villano, di cui si parlò all´anno 1605 dal luogo, ove fu nei opprimi tempi, cioè sotto il Bastione suddetto, e si porta sulla piazza detta già dei cavoli in faccia alla presente macelleria della mala carne, ove ancor si pose sopra del piedistallo, che era il getto di detta fonte la statua del Villano” (figura 18) (42).  Secondo il Santelli, questo piedistallo fu costruito da un certo maestro Bernardo Betti da Pistoia, su cui non ho potuto trovare alcuna informazione (43).   Nel 1628 perciò dette statue erano completate. Ma siccome Romolo Ferrucci morì nel 1621, devono essere per forza datate prima della sua morte. La più probabile ragione per questa commissione fu l´inaugurazione dell´acquedotto di Livorno. Secondo Nicola Magri l´acquedotto fu completato nel 1607 (44). Nel suo “Discorso sopra ai condotti e le fogne di Livorno”, un manoscritto compilato durante il regno di Cosimo III, Lorenzo Fallera sostiene invece che detto acquedotto fu completato nell´anno 1612 (45).  Una datazione tra il 1607 e il 1612 appare perciò il più probabile “terminus post quem” per quella che doveva essere una commissione ufficiale, avvenuta o ancora negli ultimi anni del regno di Ferdinando I (1587-1609), sotto il quale grande fu lo sviluppo di Livorno, o sotto il regno del figlio Cosimo II per cui lo scultore lavorò, come vedremo, scolpendo statue per i giardini di Boboli.   La più antica traccia della fontana è inclusa in una pianta di Livorno, la “Pianta del condotto che porta l´acqua alle fonti pubbliche della città e porto di Livorno et in altri vari luoghi della medesima” di Giuseppe Ruggieri che data dal 1757. Si trova in una collezione privata ma fu pubblicata da Renzo Mazzanti e Luciano Trumpy nel 1987 (46) Lì vediamo la fontana vicino alla darsena sotto il numero 59. È qui dove fu posta nel 1628 e dove il Santelli la descrive nel 1772:   “al presente la detta fonte è sulla cantonata della nuova stradina, che dalla malacarne conduce alla pescheria vecchia…, e fa facciata in piazza detta dei cavoli,  e fu ivi posta del 1628 da  Maestro Bernardo Betti muratore fatti che furono i casamenti dell´una e dell´altra parte di detta stradina l´anno 1628” (47).  Il piedistallo è visibile in tre riproduzioni di dipinti e in due vecchie fotografie pubblicate dal Venturi (48). Ma non è chiaro dove la fontana si trovasse prima del 1628. Come abbiamo visto, il Santelli dichiara che la fontana era posta sotto il bastione, detto del Villano (49). Tale bastione fu costruito nel 1496 dal popolo della campagna intorno a Livorno che lo difese l´anno seguente durante l´assedio della città da parte dell´imperatore Massimiliano I (50).  Per onorare il popolo delle campagne livornesi, il comandante fiorentino della città eresse una fontana sotto il bastione e vi pose sopra, secondo il Magri, una statua di un contadino con cane accanto, a testimoniare la fedeltà dei contadini livornesi alla repubblica fiorentina (51).  “Chi fosse Romolo del Tadda scultore di quei tempi non ho saputo trovarlo” scrive il Santelli e aggiunge di aver trovato un Romolo del Tadda attivo durante i regni di Cosimo I e Francesco I de’ Medici, riferendosi al Vasari e al Baldinucci: “ma questo è troppo lontano da tali tempi. Forse sarà sbagliato il nome. Chiarificheranno ciò i dotti illustratori presenti della nuova edizione del Baldinucci” (52).  Inoltre, è molto improbabile che la Repubblica fiorentina ergesse un monumento alla memoria dei villici livornesi. Con ogni probabilità solo la fontana fu commissionata e prese il nome dal vicino bastione che faceva parte della vecchia fortezza. In seguito alla distruzione del bastione la fontana fu spostata mantenendo il suo nome originale e il gruppo statuario del Ferrucci rendeva chiara questa connessione.  Più ricerca è necessaria per ricostruire la storia della fontana ma ciò è reso difficile dal fatto che pochi dati di archivio riguardanti le fortificazioni e la pianificazione urbana di Livorno sono arrivate fino a noi.   Romolo Ferrucci del Tadda era nato in una famiglia di scultori di Fiesole il 29 settembre 1544 e fu tenuto a battesimo da Niccolò Tribolo il giorno seguente (53). Sandro Bellesi ha stabilito che fu istruito dal padre Francesco che assistette nello scolpire la Giustizia di porfido che Bartolomeo Ammannati ideò per coronare la colossale colonna che ancor si erge in Piazza Santa Trinita. Cominciata nel 1569 quando Romolo aveva 25 anni, fu completata nel 1581.  Negli anni 70 del Cinquecento Romolo che ancora lavorava per il padre, eseguì la tomba per l´Arcivescovo Giovan Battista Ricasoli in Santa Maria Novella composta di marmi misti. Appare come un artista indipendente dopo la morte del padre nel 1585.   Tre anni più tardi lo troviamo al lavoro a Pisa e questo ci può suggerire una qualche relazione con Livorno.  Secondo una lettera scritta da Traiano Bobba a Firenze a Marcello Donati, consigliere del duca di Mantova, datata 10 aprile 1590 Romolo, avrebbe fatto le grotte per i giardini di Pratolino e Pitti al tempo del Gran Duca Francesco (54). Sarebbe stato perciò a conoscenza dei lavori del Giambologna fatti per la Villa di Pratolino negli anni 70 del Cinquecento.  Verso la fine del Cinquecento la statuaria da giardino diventò la specialità del Ferrucci. Infatti, ad eccezione del Villano, tutti i lavori del Ferrucci dagli anni 90 in poi sono sculture da giardino. Divenne inoltre uno specialista nello scolpire cani al punto tale che noi quasi ci aspettiamo che ogni cane (figura 14) del periodo sia di sua mano (55). L´inclusione di un cane nel gruppo statuario per la fontana di Livorno è perciò una specie di sua firma.  Come scultore animalista il Ferrucci fu ricercato anche al di fuori dei confini della Toscana. Egli scolpì animali in pietra per la decorazione della fontana nel palazzo Gondi a Parigi, e per il duca di Mantova, per cui è detto avesse eseguito sette animali in pietra bigia prima del 1602. Altro “genere” in cui l´artista era specializzato era quello degli stemmi araldici. Il suo stemma decorava la facciata del palazzo in cui viveva e lavorava in Via S. Egidio al n. 6 (vedi retro copertina), da lui acquistato probabilmente nel 1604 e situato presso la bottega e la casa del Giambologna in Borgo Pinti (56).  Col progredire della sua carriera, egli crebbe nella gerarchia dell´Accademia del Disegno, ovvero l´Accademia artistica Fiorentina.  Dalla seconda decade del XVII secolo in poi, il Ferrucci lavorò soprattutto per i giardini di Boboli al servizio del Gran Duca Cosimo II.  Secondo il Baldinucci scolpì il gruppo detto “del Sacco mazzone” secondo un modello di Orazio Mochi (57). Francesco Inghirami gli attribuisce inoltre a ragione tre grandi versioni scultoree tratte dai Caramogi di Jaques Callot (58).Tutte queste sculture erano in pietra arenaria e fatte tra il 1617 e la morte del Ferrucci avvenuta nel 1621.  Ed è con queste statue del Boboli che il Villano condivide una serie di significanti punti di comparazione che confermerebbero la sua attribuzione allo stesso Ferrucci anche non sapendo nulla sulla commissione del gruppo scultoreo di Livorno.  Nel Villano di bronzo ideato dal Giambologna la figura è in riposo e sembra meditare (figura 18). D´altra parte il Villano del Ferrucci ha la bocca aperta e gli occhi quasi al di fuori delle orbite come in un espressione di angoscia (figura 19). Tale espressione è da considerarsi totalmente aliena allo stile del Giambologna ma con forti punti di comparazione con le statue autografe del Ferrucci poste nei giardini di Boboli (il Saccomazzone e i Caramogi) (figura 20).  In particolare, gli occhi del Villano ci ricordano quelli del Caramogio di destra (figura 20) che sono ancora più espressivi visto che la figura dipende da Callot. Simile al sopracitato Caramogio è anche il disegno degli orecchi (figura 20) e il modellato dei capelli del Villano. I capelli (figura 21) condividono affinità anche con le due figure del gruppo del Saccomazzone (figure 22 e 23).  Infine, nelle statue del Ferrucci a Boboli troviamo delle striature (figura 25) sui vestiti e sugli stivali del Villano (figure 24 e 26) striature del tutto assenti nei modelli ispirati dal Giambologna e che ci testimoniano, nella loro esemplare perfezione di linea, l´abilità del Ferrucci nello scolpire.   Per quanto riguarda l´abbigliamento del Villano vi è un altro significante punto di comparazione: il disegno delle scarpe (figura 26) corrisponde in tutto e per tutto alle scarpe nelle statue del Ferrucci a Boboli (figura 27).   Il Villano del Ferrucci non è una copia servile del Giambologna. Nonostante il marmo rispetti la posa generale del piccolo bronzo di Roma, il Ferrucci ci offre una totale reinterpretazione di questo prototipo. La principale differenza risiede, come abbiamo visto, nella testa. Nel marmo la testa è energicamente volta verso l´alto. L´apertura della bocca può essere probabilmente spiegata da questa modifica come espressione connessa a o risultante da questo movimento. Ad ogni modo la differente posizione della testa e dell´apertura della bocca sono da mettere in relazione al carattere commemorativo della statua. Ci sono inoltre altre piccole differenze. Per esempio, la posizione del piccolo barilotto ci indica che il Ferrucci ha ripensato questa composizione in termini di un grande gruppo di marmo.  Nella statua di marmo l´assenza dello ‘zaino’, presente nel bronzetto contribuisce ad alleggerire la grande statua.  Il Ferrucci ha anche cambiato il disegno dei vestiti. Non appaiono più le pieghe angolari come nel piccolo bronzo del Susini. Il Villano del Ferrucci è un capolavoro di tecnica scultorea. Dove la maggior parte dei dettagli nelle statue del Ferrucci di Boboli hanno perso la loro originale freschezza il Villano preserva tutti i delicati passaggi scultori come ci dimostrano le due mani in cui la maggior parte delle dita sono a tutto tondo.  Ferrucci non era un genio inventivo, ma come Antonio Susini assistente nel Giambologna nella produzione dei piccoli bronzi, egli fu capace di ripensare le composizioni del suo grande maestro in maniera originale. E come il Susini aveva il dono per una squisita rifinitura.  La riscoperta del Villano aggiunge considerevolmente alla nostra conoscenza dell´impatto che il Giambologna ebbe sugli scultori contemporanei e ci fa riconsiderare la posizione del Ferrucci nella storia della scultura fiorentina degli inizi del diciassettesimo secolo. È da sperare che ci porti a nuove valutazione i sulla sua personalità e sulla sua produzione artistica.